Core [Coração]”: Ipanema partenopea, Neapolis bahiana

Maria Pia De Vito

 Intervista di Fabrizio Ciccarelli ( Sett. 2017.) 

Certi incontri non si dimenticano e, quando le sensibilità coincidono e si condividono affinità elettive, l’esito artistico è spesso inizio di nuovi percorsi e nuove scoperte, come in Core [Coraçao](Millesuoni/Jando Music 2017), album nel quale Maria Pia De Vito trasforma le assonanze spirituali con Chico Buarque de Hollanda in un univoco Sentire cogli occhi e con l’anima, in un desiderio di Esprimere oltre ogni stilismo, in una cer-tezza di unire Nature geograficamente distanti in una Pangea nella quali riconoscerci tutti, una volta e per sempre. Ipanema partenopea o Neapolis bahiana, ricordando Omar Khayyam : La vita è un viaggio e chi viaggia vive due volte.


d. La tua ricerca di poesia ad intenso flusso emotivo continua in questo album nel quale rivisiti, o meglio in-terpreti in sintassi napoletana il mondo di Copacabana ed Ipanema narrato da Chico Buarque de Hollanda, dimostrando come la distanza fra la Magna Grecia, fra Neapolis e Rio de Janeiro sia del tutto frutto di una maldestra illusione…


r. In effetti, alla lontana, questo lavoro prende le mosse da un invito, nel 2006 da parte di un’associazione che si chiamava “Napoli-Bahia”, ad esplorare similitudini e differenze tra il mondo bahiano e napoletano. Da allora ho cominciato uno studio che mi ha portato ad approfondire l’opera di Dorival Caymmi, le cui canzoni praieiras avrebbero potuto tranquillamente essere cantate da Roberto Murolo. Canzoni universali, apparen-temente semplici. Ho continuato a studiare da allora il mondo della musica brasiliana d’autore e folklorica (sterminato- mi sento ancora un’ apprendista !) L’incontro con Guinga, incredibile e particolarissimo compo-sitore, la cui formazione musicale si è nutrita di opera italiana, jazz ed anche di Canzone Napoletana cantata da grandi tenori, ha fatto poi scattare il corto circuito. Ho cominciato a scrivere testi in napoletano sulle sue canzoni, scoprendo quanto di simile ci sia tra il portoghese ed il napoletano. All’inizio mi sembrava che fos-sero solo le mezze vocali, o le parole tronche, a fare il miracolo. Invece ho scoperto uno spirito simile, che “ piange ridendo “, tantissime espressioni colloquiali simili..e tramite Guinga poi ho“ incontrato” Chico tradu-cendo Você Você, che ha appunto la musica di Guinga ed il testo di Buarque. Con quel brano e la mia tra-duzione di Olha Maria (di Jobim, Buarque, De Moraes) è cominciato uno scambio epistolare che dura ora-mai dal 2010. Un lusso incredibile potermi confrontare con lui, discutere parole e sfumature di significato. Ci ho preso la mano, e ho tradotto tantissime canzoni: di Guinga, di Chico, di Egberto Gismonti, di De Mo-raes…e quello che accade è che la potenza del napoletano e tutto ciò che evoca nell’immaginario (non di-mentichiamo che la canzone napoletana è conosciuta in tutto il mondo) trasporta le storie tradotte su un fon-dale che io direi proprio partenopeo. La “Teresinha”, protagonista dell’omonima canzone, parte della Obra do Malandro di Chico, ha un pretendente che la “chama di Rainha” , la chiama regina. Cosa di più naturale che trasformarla in Teresella, appellata dal corteggiatore a quel punto Reginella , come una delle più cono-sciute canzoni napoletane? Il disco Core [Coraçao] è pieno di queste sorprese. Chico ha amato moltissimo tutto ciò. Sono un’artista fortunata.



d. Con la dizione ed il fraseggio napoletanbrasiliano di Dio ce penzarrà lo sai che hai inventato un Patois del tutto nuovo, eufonico, ironico ed estremamente efficace dal lato comunicativo? Si congiungono le due ani-me, neanche fossero stati Totò e Jorge Amado a darti l’illuminazione…


r. Ciò che mi ha attratto e allo stesso a lungo frenato nella scelta di tradurre in napoletano Partido alto è sta-ta l’incredibile ritmicità e fluidità del “diz que deu diz que da diz que deu darà” del refrain di questa canzone. Mi chiedevo: come diavolo farò a trovare una formula così musicale? Poi un giorno mi sono svegliata con in mente “dice che, dice ca, ddio ce penzarrà”. Il subconscio governa, nelle traduzioni. Bisogna avere pazien-za, a volte le cose vengono fuori subito, a volte ci vuole anche qualche mese…Al di là di questo, la genialità di Chico, oltre che nella ricchezza infinita di riferimenti narrativi, la molteplicità di prospettive e di “io lirici“ dei suoi testi nell’imprevedibilità di alcune sue scelte armoniche e melodiche, sta anche nelle sue trovate ritmico/ linguistiche (caratteristica mostrata fin da giovanissimo – pensiamo ad esempio a Pedro Pedreiro). Poi, cosa dire, mi sono formata leggendo da bimba le Commedie di Eduardo de Filippo, più tardi ho conosciuto l’opera di Raffaele Viviani….la lingua napoletana è visionaria, teatrale, espressione di un popolo fondamentalmen-te ironico ed impertinente (come anche Caetano Veloso dice:” i napoletani e i bahiani sono impertinenti”). Quindi mi è venuto fuori naturalmente ricalcare questo spirito di Partido Alto, delineando il personaggio esat-tamente come Chico lo ha descritto. con una sola variazione finale: Chico sì è divertito moltissimo all’immagine della protagonista che scappa dagli sbirri e corre a mangiarsi una pizza! E’un’immagine effetti-vamente comica.



d. Una “versatile continuità’’ fra i ceselli strumentali, le tessiture armoniche e l’indagine filologica di quel bel-lissimo La Pergolese (ECM 2013) e Core[Coraçao]: in questo l’essenza estetica della tua ricerca e della tua forza interpretativa sognante e passionale?



r. Sono due progetti davvero molto diversi, come quasi sempre mi capita! Io sono un’esploratrice che cerca di sfuggire la noia e le ripetizioni. Una cosa è certa, ed è sempre più vera col passare degli anni. Io ho biso-gno di cantare cose che sento profondamente, che mi tocchino. Nonostante la mia pratica che si può definire “ eclettica” (definizione che non ritengo necessariamente solo positiva), io non sono una cantante per tutte le stagioni. Se la musica non mi tocca in profondità per me diventa tutto faticoso, come andare in miniera. Nel Pergolese ho cercato il Pergolesi napoletano, umano, me lo sono avvicinato al punto da tradurre in napole-tano passi dello “Stabat Mater”… in Core [Coraçao] ho scelto brani che mi colpissero per qualità melodico- armoniche (facile obiettivo, con la MPB ! [Musica Popolare Brasiliana, NDR]) o per la vividezza delle storie, e i musicisti hanno aderito a questa idea di approfondimento delle storie e di improvvisazione come variazione e parafrasi, come è nella musica brasiliana più che nella pratica jazzistica, dove ci si può allontanare anche moltissimo dal punto di partenza.



d. Domanda inevitabile: cosa si prova avendo accanto un genio come Chico Buarque in sala di registrazio-ne?


r. E’ stato ovviamente emozionantissimo!!! Ma allo stesso tempo molto semplice. Chico è una persona di grandissima eleganza interiore. Ha la semplicità e la discrezione che lo hanno reso famoso come“timido“. E’ invece riservato e gentile. Il lavoro è stato un crescendo di allegria, e di fiducia. Abbiamo cominciato la regi-strazione con O meu gurì, che in napoletano è diventato ‘O Piccerillo. Lui ha accettato graziosamente di re-gistrare l’ultima strofa in napoletano. Ci siamo messi insieme nel suo “Boot”, con le cuffie, e io lo aiutavo con la pronuncia nei punti più difficili . Il tutto è stato condito da grandi risate, alcune parole lo divertivano partico-larmente…e poi abbiamo registrato in due Boot. Il contrappunto tra le due voci è uscito fuori spontaneo e na-turale…e la sua conclusione parlata, dicendo “o piccerillo…“con una tale tenerezza che ci ha commosso tut-ti. Così come naturale e stupefacente è stata la semplicità con cui abbiamo registrato “live”, insieme a Huw Warren e Roberto Taufic , Todo Sentimento. Abbiamo fatto semplicemente una prova di struttura, e poi è stata …buona la prima. Eravamo distanti, le due cabine avevano al centro la stanza della regia, ma abbiamo fraseggiato insieme come se avessimo già cantato quel brano mille volte. Ho ancora i brividi ogni volta che lo ascolto.


d. Un’altra domanda inevitabile: Huw Warren al piano, Gabriele Mirabassi al clarinetto, Roberto Taufic al-la chitarra, Roberto Rossi alle percussioni e poi l’Ensemble Vocale Burnogualà…ma che bei talenti! Per-ché la scelta di questi musicisti e perché la scelta di un quartetto strumentale ad accompagnare la tua voce divagante fra Bossa, armonie partenopee, Jazz e, a mio avviso, canto rinascimentale?


r. Huw Warren dal 2007, anno in cui ci siamo incontrati, è un compagno frequente perché sa respirare in-sieme a me, siamo quasi telepatici. Ama e conosce la musica brasiliana e conosce il mio lato più improvvisa-tivo; ho cominciato con lui in Dialektos e Pata Pata ad esplorare certa musica brasiliana. Il grande Gabriele Mirabassi, con cui collaboro da tempo immemore, anche se non continuativamente, mi ha fatto conoscere la musica di Guinga, mi ha presentato Roberto Taufic qualche anno fa. Dal primo concerto insieme ho capito che volevo assolutamente fare di più, e ancora con loro. Sono musicisti meravigliosi, profondissimi, Roberto è un arrangiatore spettacolare. E poi, ciliegina sulla torta, mi ha presentato Roberto Rossi. Abbiamo fatto un concerto in trio, un paio di anni fa. Voce, chitarra, percussioni, nient’altro. Roberto Rossi è originalissimo, un percussionista speciale, inventivo, poetico. Cosa potevo volere di più? L’Ensemble Burnogualà, che intervie-ne in Malandro, è letteralmente un pezzo del mio cuore. Sono 20 voci, quasi tutti ex allievi di Santa Cecilia o del St Louis, alcuni sono con me dal 2009. L’Ensemble si chiama così perché il nostro primo progetto è sulle “Moresche” di Orlando di Lasso, incredibile serie rinascimentale il cui linguaggio e metà napoletano e metà Kanuri (lingua ancora parlata nell’Africa nilo-sahariana), e ” Burnogualà“ significa “siamo gente dell’impero del Bornu, per Allah! “. Quindi hai ragione, il canto rinascimentale è nelle mie corde da sempre!



d. Cosa significa per te “vivere e cantare”?


r. Per me cantare e fare musica, scrivere musica o testi, e ora anche tradurre, rappresentano il motivo prin-cipale per cui sono al mondo. Il palco per me è un luogo sacro. Cerco di abitarlo solo con persone, progetti, idee di cui sono profondamente convinta. Perché cantare per me è consolazione, è creare un ponte invisibi-le con l’altro. E’ questo il senso della vita, della mia vita. Sperimentare profondamente l’unità di tutte le cose. Nella vita reale, ahimè, non ci riusciamo. Il mondo in questo momento è a pezzi. La musica è la grande me-dicina dello spirito. Io non saprei come altro vivere.

d. Volendo considerare questo album integrazione di un progetto più ampio, quale “bel sogno” muove il tuo futuro?


r. La mia vita mi ha abituato a grandi sorprese. Chissà cosa mi riserva il futuro! Ho già molte idee sul tavo-lo, tanti altri brani brasiliani tradotti….ma anche l’idea di un ritorno all’omaggio a Joni Mitchell, che dal 2005, anno di uscita del disco So Right a lei dedicato, continuano a chiedermi in concerto. Il suo songbook è sterminato. Sto suonando di nuovo, con grande piacere, insieme a Rita Marcotulli…vedremo. Conosci il det-to: “La vita è quello che ti accade mentre fai progetti “?

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