Intervista a.. Enzo Pietropaoli

The Other Side Of Jazz

Intervista di Francesco Peluso (Gen. 2016) 

Estroverso, sornione, colloquiale, Enzo Pietropaoli porta in ogni contesto sul palco il suo essere musicista a tutto tondo. Dalle esperienze giovanili con il Trio di Roma al suo attuale Yatra Quartet propone un solido groove che alterna grinta e liricità, entrambi provenienti da una formazione classica arricchita dalla profonda conoscenza di forme musicali dagli orizzonti sconfinati.

Incontrarlo nel dopoconcerto è sempre un’occasione da non perdere, sia per la sua schietta simpatia, che per una disponibilità senza eguali…

  1. Ascoltando la produzione discografica di Enzo Pietropaoli, s’intravedono nel suo jazz alcune reminiscenze adolescenziali del rock e del pop: quanto hanno influito sulla tua formazione artistica?
  1. credo che il periodo della adolescenza, e quello giovanile in genere, siano una fase della vita in cui tutti gli stimoli che riceviamo si installano nella nostra mente in maniera indelebile. Ne ho concreta conferma quando mi ritrovo ad ascoltare un disco dopo 40 o 50 anni e scopro di ricordarlo tutto a memoria… mi è successo giorni fa riascoltando per caso, Atom Earth Mother dei Pink Floyd, l’ho canticchiato tutto dall’inizio alla fine, mentre a stento riesco a memorizzare qualcosa che ho ascoltato il mese scorso, ma qui scendiamo nel campo scientifico e mi fermo. Diciamo semplicemente che le reminiscenze adolescenziali, che effettivamente nel mio caso sono esclusivamente rock e pop, sono scolpite nella mia mente e hanno costituito un fondamentale punto di partenza, influenzando la mia formazione artistica e non solo.
  1. Quando hai intuito che il basso elettrico e il contrabbasso avrebbero pienamente connotato la tua vita professionale?
  1. Prima che la passione per la musica diventasse la mia professione come contrabbassista e bassista elettrico, ho suonato molti strumenti, fin da piccolissimo mi dicono che percuotevo ogni cosa mi capitasse a tiro, fino a costruirmi una batteria utilizzando i fustini del Dixan con sopra dei tamburelli da spiaggia e cucchiai di legno al posto delle bacchette (parliamo degli anni sessanta). A quel tempo, suonavo anche una chitarra eko estremamente economica, la prima cosa che ricordo è il riff della bambolina (qualcuno capirà a cosa mi riferisco…)

Contemporaneamente, e sempre rigorosamente a orecchio, suonavo una tastierina che si chiamava “Chordette”, poi la prima chitarra elettrica e da Battisti e i Beatles si è passati ai Cream.

A circa 18 anni ho preso lezioni di sassofono da Maurizio Giammarco  e poco prima dei vent’anni ho scelto il contrabbasso e, quasi subito, è arrivato il lavoro, ero abbastanza portato per la musica ma più che altro in quegli anni la concorrenza era meno agguerrita.

  1. Durante gli oltre tre decenni di brillante carriera, quali peculiarità hanno caratterizzato i partners con cui hai collaborato e quali strumenti hai preferito al tuo fianco nelle diverse formazioni o nei progetti da leader?
  1. non so se esserne contento ma devo correggerti perché la mia carriera, grazie per il tuo generoso “brillante”, ha da poco superato i quattro decenni …

venendo alla tua domanda, poi, ti posso dire che nei primi anni mi sono affidato a quegli strumentisti con cui lavoravo abitualmente, nel mio primo disco suonano infatti Pieranunzi, Rea, Fresu, Gatto , Giammarco, Fiorentino, insomma i compagni di strada di quel periodo, all’inizio registravo dischi come per dire “ci sono anche io” ma raramente davo seguito concertistico a quelle esperienze anche perché il lavoro non mancava ed era sempre molto gratificante anche in contesti non da “leader”, invece negli ultimi anni, maturando delle mie convinzioni estetiche, mi sono affidato a dei giovani cercando di creare uno scambio tra la mia esperienza e la loro freschezza ed energia e così è nato Yatra Quartet con un seguito di concerti significativo.

Per quanto riguarda gli strumenti, volendo semplificare e generalizzare al massimo, la mia predilezione tra piano e chitarra è sempre andata al piano e tra tromba e sax sempre alla tromba, inoltre ho sempre preferito batteristi piuttosto “tranquilli”, discreti ma di grosso spessore.

  1. Allora… se dovessimo attraversare i quaranta anni dagli esordi ai nostri giorni, quali emozioni possiamo raccontare dell’esperienza Space Jazz Trio e Linngomania?
  1. Riferendoci agli anni ’80, gli SJP e i Lingomania sono stati i due gruppi con cui ho lavorato di più e che mi hanno “consacrato” e dato grandi soddisfazioni, di pubblico, di critica e di lavoro, due proposte molto diverse tra loro, non a caso in una suonavo il contrabbasso e nell’altra il basso elettrico.

La cosa che più mi colpisce riascoltando quei gruppi è che lo Space Jazz Trio è ancora attualissimo mentre Lingomania suona più datato, e questo è dovuto all’uso di suoni sintetizzati dell’epoca che ti riportano a qualcosa di passato, un po’ fuori moda, mentre il trio acustico piano/ basso/ batteria è sempre attualissimo, comunque due grandi gruppi con grandissimi musicisti.

  1. Poi, le più recenti esperienze con gli osannati Doctor 3 e il raffinatissimo Yatra Quartet
  1. Doctor 3 è la consacrazione di un rapporto quasi telepatico che mi lega a Danilo Rea fin dai primi anni settanta quando andavo a casa sua a fare jam session suonando il sassofono, con Doctor 3 non si è mai provato e non si sono mai fatte scalette prima di un concerto, viene tutto facile e immediato, e poi con Fabrizio Sferra la musica è sempre di grande intensità e qualità.

Yatra Quartet è la più bella cosa che mi è successa musicalmente negli ultimi anni e spero che possa continuare a rappresentare il mio futuro anche se questa esperienza è nata in un periodo storicamente poco favorevole alla musica e all’arte in generale. Sigurtà, Mazzariello e Paternesi sono tre musicisti, e persone, speciali, a torto o a ragione mi voglio concedere la presunzione di pensare che in questo contesto siano riusciti a dare il meglio di se, così almeno mi dicono e, vero o no, mi fa piacere credergli, e allo stesso tempo mi hanno messo nelle condizioni di dare il meglio di me e di potere esprimere quella vena poetica piuttosto semplice ma densissima di emozioni, che non sempre riesce ad emergere in altri contesti. L’esperienza con Yatra Quartet è coincisa con la conoscenza, e di conseguenza, la nascita di un bellissimo rapporto umano e professionale con Giandomenico Ciaramella, il discografico creatore di Jando Music, una persona senza la quale Yatra Quartet forse non sarebbe esistito, o comunque non nella modalità che ha reso possibile, attraverso tre cd, lo sviluppo di quella idea estetica che negli anni precedenti non ero riuscito a realizzare.

  1. Come e dove hai conosciuto il patron della Fonè Giulio Cesare Ricci?
  1. Un comune amico, Fernando Pedichini, un illustre astrofisico, ma non solo, che sta progettando nuove tecniche di registrazione e conversione digitale, mi ha portato a casa di Ricci in Toscana e in quella occasione sono venuto a contatto con un mondo “acustico” per me insolito, ascoltare dei dischi da me registrati in passato ritrattati da Ricci in vinile mi ha quasi scioccato.
  1. Oltre ai preziosi vinili della formazione Yatra Quartet e uno in trio, gli altri album Fonè: in solo e in duo contrabbasso – voce… voglia di ritrovare se stesso o scoprire una forma estetica alternativa?
  1. Gli album di Yatra usciti in vinile sono frutto di una elaborazione successiva di Ricci mentre quelli Fonè, che sono quattro, Solo, La Notte con Lena e Sigurtà, e Dos e Insight con Eleonora Bianchini sono stati produzioni originali registrate in ambienti acustici naturali con apparecchiature vintage e allo stesso tempo estremamente sofisticate, una fotografia incredibilmente fedele della musica ottenuta ritornando alle tecniche della metà del secolo scorso con risultati sorprendenti.
  1. A quando il nuovo disco, azzardo il quarto capitolo della formazione Yatra Quartet o cos’altro?

 

r. Al momento non ho ancora in programma una nuova registrazione con Yatra Quartet, sicuramente ci sarà, tuttavia, non sarà un Yatra vol. 4 ma piuttosto una nuova strada da percorrere, sempre in nome di quella scelta estetica, ma questa volta distante dalle precedenti produzioni

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