“Homage to Heroes”

Chick Corea Quintet
 di Giovanni Greto

In occasione del decennale dalla scomparsa di Emilio Vedova (1919 – 2006), pittore veneziano protagonista dell’avanguardia artistica italiana, la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova (moglie del maestro venuta a mancare di recente) ha pubblicato un ricco volume, “De America”, per ricordare un lungo viaggio negli anni ‘50 di Emilio Vedova negli Stati Uniti, che lasciò un segno profondo nella sua evoluzione creativa, fino a sfociare  tra il 1976 e il 1977 in un grande ciclo di circa cinquanta dipinti su tela e carta eseguiti a Venezia. Parallelamente, il presidente Alfredo Bianchini ha pensato di ampliare il ricordo del maestro organizzando una rassegna musicale, affidandone la direzione artistica all’esperto musicologo Mario Messinis. Ad inaugurare il progetto “Euramerica”(che proseguirà con sei appuntamenti tra il 28 ottobre e il 12 novembre), nella sede della Fondazione, ex studio del pittore, è stato invitato per una doppia esibizione estiva il pianista e compositore Chick Corea Alla guida di un quintetto che, secondo il manifesto dello spettacolo, si proponeva di rendere omaggio agli eroi del Jazz : “Homage to Heroes. The music of Miles Davis, Bud Powell, Horace Silver and more”. Con questo tour, che ha toccato anche Napoli e Umbria Jazz, il pianista statunitense ha voluto inoltre festeggiare i tre quarti di secolo compiuti il 12 giugno scorso. Con lui l’ex davisiano Kenny Garrett al sax contralto; Wallace Roney alla tromba, che aveva affiancato dal vivo al festival di Montreaux del 1991 Miles nella riproposizione di molti dei brani classici arrangiati da Gil Evans alla fine degli anni ’50; Christian McBride al contrabbasso, frequente e affidata presenza per il leader ; Marcus Gilmore (classe 1986) alla batteria. Data la vicinanza ai musicisti, nonostante un’acustica non impeccabile e la presenza di “sedie da regista” attaccate l’una all’altra non abbia permesso di godere della musica in completo relax (c’è sempre uno spettatore alto davanti che impedisce una buona visione, mentre lateralmente gomiti e braccia si toccano), sembrava di respirare l’atmosfera di un jazz club, dove c’è un contatto intimo e i musicisti si lasciano andare cercando di dare il meglio di sé. Il fatto poi che la scaletta in circa due ore di musica allineasse soltanto sette brani, ha indirizzato i protagonisti verso una specie di Jam session, non in orario “after hours” e priva di quella competizione tra più solisti di uno stesso strumento, che scatena l’entusiasmo ed infiamma l’atmosfera. Così non è stato, almeno per chi scrive, perché, a parte gli applausi dopo ogni assolo e gli ululati di un pubblico, in gran parte estasiato, nessun momento particolarmente significativo è rimasto impresso nella mia memoria. Corea, fisicamente in forma, la faccia sbarazzina da marpione che si conosce, ha preferito lasciare ampio spazio agli assolo dei compagni, alternando pianoforte e tastiera. Si parte con “500 Miles High”, dal repertorio dei primi “Return to forever” (Flora Purim alla voce e Airto Moreira alla batteria), il brano più lungo (25 minuti) e subito si capisce come proseguirà la serata : esposizione del tema, magari con un’intro affidata al piano, assolo per ogni strumento (nell’ordine, sax, tromba, piano elettrico, contrabbasso e batteria), tema finale. Si prosegue con un originale di Chick Corea, “Bud Powell” che si dilata in 23 minuti e propone assolo di pianoforte e contrabbasso, con alcuni breaks di batteria che cominciano a mettere in luce l’elemento più giovane del quintetto, nipote del veterano Roy Haynes. Arrivano quindi tre standards – “Someday my prince will come”, “Lush Life”(in quartetto con il sassofono), “Alice in Wonderland” (nel classico trio senza fiati)- della durata di circa 10 minuti ciascuno. Si riparte con una vivace, latina “Tempus Fugit” ( 20 minuti) di Bud Powell, di nuovo con gli assolo di tutti gli strumenti, conclusi da una lunghissima esibizione di Gilmore. Tenace scompositore, con la scansione ritmica volontariamente non in linea, la sua irruenza gli permetterebbe di continuare all’infinito, incalzato anche dai sorrisi e dai rilanci del bassista e del pianista. Quando accompagna suona un po’ troppo, nel senso che tende a riempire tutti gli spazi, anche se dimostra maturità, calma e capacità di organizzare il solo, ricco di fantasia, oltre che di patterns. La platea, surriscaldata e in visibilio, richiede a gran voce il bis. Corea si avvicina alla tastiera, McBride utilizza una chitarra basso a 5 corde, Garrett passa al sax soprano. Tutto questo per una breve (7 minuti) improvvisazione elettronica, su una base funkeggiante, con citazione dell’ultimo Miles Davis (“Jean Pierre”). Buone le prestazioni di tutti. A partire da Garrett, pulito ed inventivo; a Rooney, sempre a tromba libera, anche se è mancata la scintilla; a Mc Bride, autore di gustosi assolo e dotato di una possente cavata e di una sonorità profonda; a Corea che ha ancora voglia di deliziare la platea con il suo tocco romantico e cristallino. Ma, ripeto, niente di nuovo, anche se, nel crossover del momento attuale, ben venga una serata di jazz swingante.

 

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